Caratteristica è la sua struttura ad anelli semicircolari che scendono dolcemente verso il mare, corrispondenti a tante fasi dello sviluppo urbano. E’ uno dei paesi della Vai di Cecina che meglio conservano l’impianto del castello medievale. Sul territorio sono stati trovati resti di insediamenti etruschi e romani, di cui alcuni reperti si possono vedere nel paese.
Le colline di Casale erano luoghi di insediamenti etruschi e diversi ritrovamenti archeologici sono stati effettuati nel territorio.Il più importante è una tomba a tholos, dei V secolo a.C., asportata e ricostruita nel giardino del Museo Archeologico di Firenze. Da questa tomba provengono, tra l’altro, i due più antichi oggetti d’alabastro di cui si ha notizia, usciti probabilmente dalle officine di Volterra — una patera e un lacrimatoio —, anch’essi al Museo Archeologico di Firenze. Altri reperti si trovano nei musei di Volterra e alla Cinquantina di Cecina. Dell’epoca romana è una piccola villa, nel Botro della Pieve, i materiali della quale sono stati reimpiegati in alcuni edifici dei paese.
Il castello medievale è nominato nei documenti sin dal 1004 e apparteneva ai conti Della Gherardesca, ai quali fanno riferimento i primi documenti di vendita (nei 1004 Gherardo e la moglie Giulia donarono una chiesa e 13 poderi “che sono nella corte di Casale” al monastero di Santa Maria di Serena a Chiusdino; nel 1008 Gherardo dei fu Gherardo vendette case, cascine e masserizie dei distretto della pieve di San Giovanni di Casale, e Wilda, sua moglie, altri beni nello stesso distretto; nel 1092 un conte Gherardo concesse al monastero di Montescudaio una chiesa di Sant’Andrea a Casale).
In realtà esistevano nella zona due castelli dello stesso nome: Casalvecchio, di cui è rimasta solo la collina omonima a sudest dell’attuale paese, e Casalnuovo, l’odierno Casale Marittimo. Non è chiaro quali fossero i rapporti tra i due castelli e per quanto tempo convissero; i documenti più antichi sono senz’altro da riferirsi a Casalvecchio, e così anche una famosa lettera del vescovo di Volterra, del 1344, in cui questi racconta come il conte Gherardo di Donoratico fosse ammalato nel castello di Casale e a causa della cattiva aria non poteva guarire fino a quando non fosse stato portato altrove: “Mandammo li medici […] e quelli lo consigliarono perché l’aere di Casale era corrotta e per altre ragioni che se d’ivi non si partisse, che egli era in pericolo della vita e veramente secondo che e’ medici ci hanno poi detto di quella infermità non sarebbe campato se non fosse partito.” E’ questa una precoce testimonianza della diffusione delle febbri malariche.
Casalvecchio fu distrutto presumibilmente nel 1363 durante una battaglia tra pisani e fiorentini, ma probabilmente già prima era stato gradualmente abbandonato a favore di Casalnuovo che, pur non essendo più alta, era meglio ventilata e più salubre.
Tra i due castelli, sul Botro della Pieve, si trovava la pieve di San Giovanni Battista di Casale, che dà ancora oggi il nome al torrente e a una località. Era la chiesa madre del circondano, l’unica dotata di fonte battesimale, e a lei facevano capo non solo Casalvecchio e Casalnuovo, ma anche Guardistaiio e Montescudaio. Benché fosse stata molto danneggiata – anzi: “[…] demolita et destructa quasi per totum” nei combattimenti dei 1363 e il fonte battesimale in seguito a questa guerra fosse stato trasferito a Casalnuovo – , essa mantenne il titolo di pieve e lo conservò, a quanto pare, addirittura fin verso la metà del ‘500. Nei 1413, al momento di una visita pastorale dei vescovo di Volterra, essa risultò “in totum diruta”, cioè totalmente diroccata e solo le mura stavano in piedi, tuttavia era pieve e aveva il pievano. Nei 1439 i battesimi di tutti i bambini dei castelli vicini si tenevano “ogni Sabato Santo al fonte battesimale nella pieve di S. Giovanni Battista in Santo Andrea di Casale”, come si rileva da una lettera del vescovo di Volterra, dalla quale risulta che Sant’Andrea ospitava il fonte battesimale senza però disporre del titolo di pieve. Mentre i castelli di Casale erano sotto il dominio politico della Repubblica di Pisa, la pieve dipendeva dalla Diocesi di Volterra.
A Casalvecchio risiedevano dalla metà dei ‘300 circa i conti Montescudaio, ramo della famiglia Gherardesca costituitosi in quel periodo nel castello di Montescudaio. Un loro palazzo o rocca esisteva ancora nell’Ottocento ed è nominato nel Dizionario geografico del Repetti. La struttura del castello era a pianta circolare con una porta a sud munita di antiporti e rampa d’accesso e sovrastata dalla rocca. A nord si trovava una torre d’avvistamento, ancora visibile, ma non sono accertate altre porte. Le mura erano formate dalle case stesse che avevano, e hanno, pareti molto spesse verso l’esterno e poche finestre collocate solo in alto. All’interno – come in altri insediamenti medievali – le case erano addossate l’una all’altra senza regola alcuna e senza alcun rispetto per l’andamento delle strade e prive di sufficiente aereazione. Il castello racchiudeva al suo interno non solo le case e le cantine, le botteghe del macellaio, del fabbro, del barbiere, il forno e il frantoio, ma anche le stalle e i castri per gli animali domestici (asini, porci, galline) e qualche orto. In più c’era la chiesa con l’annesso cimitero e, oltre al palazzo signorile con le stalle, le scuderie e i magazzini, c’erano la stanza del tribunale e le prigioni. Fuori dalle mura restava la fonte con l’abbeveratoio e i lavatoi. La chiesa di Casalnuovo era intitolata a Sant’Andrea ed è nominata per la prima volta nel 1305.
Nel 1406, in seguito alla conquista di Pisa da parte di Firenze, anche Casale, come gli altri paesi della Val di Cecina, si sottomise alla Repubblica fiorentina. Nel 1407 ottenne da Firenze il permesso di costituirsi in Comune, ma contrariamente a quanto avvenne a Montescudaio e Guardistallo, non poté liberarsi dai conti Della Gherardesca-Montescudaio che vi mantennero le loro proprietà e la giurisdizione. La piccola comunità non si diede subito gli statuti, ma nel 1414 accettò quelli di Montescudaio e Guardistallo e anche successivamente, dal 1490 fin al 1620, i suoi statuti erano sempre compresi in quelli degli altri due Comuni.
Sul Cinquecento e il Seicento mancano notizie di qualche interesse; sono secoli caratterizzati dalla difesa contro le incursioni dei pirati saraceni, dalla lotta contro la malaria che infestava la pianura costiera e risaliva ai paesi, dalle periodiche carestie ed epidemie e dalla stasi sociale ed economica che contraddistingue in queste zone il Granducato mediceo. Tutti questi fattori hanno sicuramente reso difficili le condizioni di vita della popolazione.
Nel 1551 Casale aveva 245 abitanti.
Del 1642 è la notizia che la comunità deliberò la fortificazione delle mura a difesa dalle incursioni dei pirati dal mare. Nel 1648, sulla scia di Montescudaio, Casale venne dato in feudo ai Ridolfi e nel 1738 andò a far parte del marchesato di Riparbella, assegnato in feudo al conte Carlo Ginori.
All’inizio del Settecento le campagne versavano in uno stato di estrema povertà e arretratezza. Vaste terre rimanevano riservate alla caccia del feudatario e i boschi avanzavano. Nel 1709 “fu proposto come sarebbe stato molto necessario munirsi all’occasione di un medico, stante l’aria cattiva, e le multità dei malati che spesso ne muoiono miseramente senza esperimenta.” Ciononostante Casale si trovava forse in condizioni migliori di tanti altri paesi dal momento che il Targioni Tozzetti, che lo visitò nel 1742, scrisse: “Casale moderno è il più grosso, e più salubre Castello di tutto il Marchesato. La ragione della salubrità è non solamente una vicina Fontana d’acqua buona, come anche la situazione favorevole in uno sporto di Collina elevata, e benissimo ventilata.” Nel 1745 gli abitanti erano 315.
Nel 1777, con le riforme del granduca Pietro Leopoldo, ebbe inizio il processo di ridistribuzione delle terre e conseguentemente il loro accentramento nelle mani di alcune nuove famiglie facoltose: emergevano a Casale i nomi dei Cancellieri, degli Sparapani, dei Mannari e dei Marchionneschi, che in seguito hanno detenuto il potere nel Comune per tutto l’Ottocento e fino alla prima metà del nostro secolo. La concentrazione delle terre e la diffusione del regime della mezzadria portavano a un incremento e a un miglioramento della produzione agricola. Nel XIX secolo ancora infuriava la malaria, le case in campagna non esistevano, i lupi erano così abbondanti che nel 1810 un decreto governativo liberava la caccia al lupo da ogni vincolo, ma nel paese il numero degli abitanti iniziava a salire: erano 817 nel 1833 e vent’anni dopo, nel 1854, ammontavano a 1.070 unità; nel 1861 il numero era salito a 1.174. La progressiva bonifica della palude costiera favoriva lo sviluppo agricolo.
Nella seconda metà dell’Ottocento l’abitato subiva alcune importanti modificazioni dovute all’aumento della popolazione: nel 1854 venne demolita la porta meridionale per costruire la Torre Civica con l’orologio; nel 1872 si iniziò la costruzione della nuova chiesa che comportava l’abbattimento di una parte del muro di cinta e del vecchio municipio per aprire un varco alla nuova strada. La vecchia chiesa veniva trasformata in municipio. Il camposanto scompariva sotto il nuovo campanile, ma già neI 1855 era stato inaugurato un nuovo cimitero lungo la strada per Guardistallo. Contemporaneamente era cresciuto anche il borgo fuori dalle mura e all’inizio del ‘900 venne sistemata la piazza del Popolo, allora piazza Cancellieri. Il paese assumeva più o meno l’aspetto attuale.
Nel 1862, Casale, fino allora chiamato “Casale nelle Maremme”, assunse il nome di “Casale di VaI di Cecina”; dal 1900 si chiama “Casale Marittimo”.Nel 1936 il numero degli abitanti ha raggiunto il limite massimo di 1.583; ma negli anni ‘50 è iniziato il processo di emigrazione verso i centri in pianura che erano in rapido sviluppo e garantivano posti di lavoro sicuri, orari fissi, mansioni meno pesanti di quelle richieste al mezzadro in campagna.
All’inizio degli anni ‘60 il fenomeno dell’abbandono della terra era all’apice e il regime della mezzadria andava scomparendo. Soprattutto i giovani si stabilivano in pianura o emigravano verso le città dell’Italia settentrionale.
Nel 1971 il numero degli abitanti era sceso a 837. Il rischio di diventare un “paese di vecchi” era attenuato solo dal fatto che molti abitanti risanavano, con i soldi guadagnati fuori, le case del paese, corredandole di moderni comfort.
Oggi Casale ha 914 abitanti. L’economia è agricola e si producono soprattutto vino, olio e cereali; esistono anche un’azienda di apicultura, un laboratorio di pellicce e diversi servizi commerciali e di ristoro. L’aspetto del paese medievale è ben conservato e la sensibilizzazione per i valori storici ha fatto sì che alcuni ammodernamenti degli anni ‘60 siano stati rimossi, come la copertura delle vie in asfalto che nel 1989 è stata tolta riscoprendo il vecchio lastricato in pietra arenaria.
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