Castagneto Carducci, piccolo borgo una volta circondato dalle mura, si trova sulla sommità di una collina, dominato dal Castello dei Conti Della Gherardesca. Il centro urbano è sviluppato secondo uno schema di anelli concentrici che sfociano in un insieme di strade, vicoli e piazzette che riportano nel passato, di cui possiamo ancora trovare antiche testimonianze. Castagneto, che comprende anche i comuni di Bolgheri, Donoratico e Marina di Donoratico, riunisce nel suo territorio una notevole varietà di ambienti naturali: la spiaggia, le pinete della costa, le zone che ricordano l'antica Maremma, la campagna punteggiata di ville, i poderi e le case coloniche, le colline dalle forme e dai colori tipicamente toscani, i vicoli antichi del paese.

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Un isolotto, o più esattamente un affioramento roccioso circondato da scogli a fior d'acqua nell'Alto Tirreno, lungo nove chilometri e largo due, di fronte a Livorno da cui dista per un breve tratto di mare: questa è la Meloria, celeberrima per la battaglia del 6 agosto 1284 che segnò la grande sconfitta della flotta pisana perpetrata da quella genovese. Ma la Meloria è anche un luogo, dall'antichità ad oggi, straordinario per il paesaggio e la natura, per i particolari morfologici che la contraddistinguono. In questo libro, un famoso esploratore dei mari esotici e del Mediterraneo in particolare, come Folco Quilici, una storica allieva di Marco Tangheroni, come Olimpia Vaccari, e un naturalista livornese, come Gianfranco Barsotti, che della Meloria e della natura al di sotto del suo mare conosce tutto, ci restituiscono di questo luogo che appartiene all'immaginario collettivo della civiltà del Mediterraneo gli aspetti più importanti. Il libro ha inoltre nelle fotografie di Fabio Taccola, per la parte emersa, e di Guglielmo Cicerchia e Federico Fiorillo, per la parte sommersa, immagini straordinarie e altamente suggestive.

 

Maledetta meloria

di Renzo Castelli

Brucia ancora la sconfitta con Genova, sette secoli dopo. Forse è tempo di farsene una ragione... Non sono il tifo sportivo, né le tradizioni spesso un po’ posticce sospinte dal turismo, a disegnare la vera anima di una città. Nel caso di Pisa, la sua “pisanità”. In poche città, come in questa, la storia, e quindi il passato remoto, hanno lasciato un segno così marcato e condizionante. Pisa ha troppa memoria - l’origine etrusca, la grandezza della sua marineria - per dimenticare. Ecco perché ancora oggi la Meloria non è soltanto il nome di una battaglia finita in disfatta, una delle molte che l’uomo ha combattuto in terra e sul mare, ma rappresenta la morte di una città-Stato, l’umiliazione dei suoi cittadini. Con la Meloria (1284) Pisa ha perduto l’orgoglio, i sogni, la regalità, e mai più potrà dimenticare il perduto potere. La città-stato ha chinato la testa, forse per sempre, e non dimenticherà mai più. Pisa, che era stata (Rudolf Borchardt) “un impero di vele”, resta nei secoli dei secoli una città sconfitta, umiliata, delusa. Pisa, ovvero l’orgoglio ferito. Non fu solo la Meloria a scavare il grande solco che proietta la sua ombra fino a noi. Ai 12 mila morti della battaglia che cancellarono l’anima della grande città-stato, si aggiunsero i 6mila prigionieri portati in catene nel carcere genovese del Modulo che provocarono una crisi demografica che parve irreparabile. “Questa situazione - precisa lo storico Emilio Tolaini - determinò un forte incremento immigrativo dal contado che consentì di ricostruire in qualche modo la rete dei traffici”. Ma il ritorno ad una seminormalità non fu vera gloria: appena un secolo dopo, infatti, i fiorentini compreranno Pisa e il suo porto. 

Se è vero che ogni città ha un’anima propria che è la risultante delle anime di coloro che vi hanno sempre vissuto, molti concordano nel dire che Pisa conserva ancora una scontrosità che è figlia della sconfitta più bruciante. Scontrosa, dunque, e superba: così la giudicò Borchardt nel secolo scorso, e il giudizio resta attuale. Per questi motivi, nell’effervescente e inventiva Toscana, nella blasfema Toscana, Pisa si colloca con caratteri diversi da ogni altro campanile. La “pisanità”, ancora oggi, significa diffidenza perché diffidenza è figlia dell’orgoglio ferito. Non a caso Curzio Malaparte, nel disegnare i suoi Maledetti Toscani, glissò del tutto su Pisa. Confesserà: “Non li capisco, questi pisani. Hanno un carattere sfuggente, insincero. Sembra quasi che debbano farsi perdonare qualcosa. Ma cosa?”. La risposta sarebbe stata la stessa di oggi: farsi perdonare di avere perduto. Eppure Malaparte adorava Pisa, i suoi silenzi notturni ma anche il vociare degli studenti, la straordinaria bellezza dei marmi e l’Arno che fluiva al mare. Anche se di quel fiume preferiva le burrasche e il ghiaccio dell’inverno perché la “torba” voleva dire l’ingresso in Arno delle cèe. E per un piatto di cèe consumato in piazza Garibaldi, nell’osteria di Nilo Montanari, Malaparte avrebbe dato l’anima. (Non sapete cosa sono le cèe? Non possiamo spiegarvelo: venite a Pisa e capirete). E con l’oste amico, Malaparte si confidava: “Siete una razza strana, ma cucinate bene”. 

Dante provvide a suo tempo e con una certa efficacia a denunciare l’orribile colpa dei pisani. Dopo la Meloria, il conte Ugolino della Gherardesca, ritenuto responsabile per imperizia o per tradimento di quella sconfitta, fu rinchiuso, fino a morire di fame, con i figli ed i nipoti nella storica torre di piazza delle Sette Vie (oggi, Cavalieri di Santo Stefano). L’invettiva dantesca è forte, ma se il sommo poeta avesse conosciuto il seguito avrebbe scritto cose anche peggiori. Le ossa del conte Ugolino, infatti, furono poi sotterrate in faccia al fiume sui lungarni di Tramontana e quel terreno restò per sempre maledetto. Chi oggi visiti Pisa e percorra i suoi lungarni, scoprirà che la lunga teoria dei palazzi è interrotta, poco prima della chiesa del Santo Sepolcro, da un giardino, l’unico che si affacci sul lungarno. Ma non è un giardino, e non è un cimitero: è terra maledetta. Perché i pisani non dimenticano. Neppure oggi che le ossa del conte hanno trovato pace - si spera - nel convento di San Francesco, su quel terreno non sarà mai consentito di costruire niente. 

No, Pisa non può essere considerata una città “normale”, come bene intese Malaparte. Dice il professor Silvano Burgalassi, sociologo e massimo cultore dell’anima pisana: “Pisa vive del passato e non riesce ad esprimere i valori di arte, di spiritualità, d’intelligenza dei quali pure è portatrice. È una sorta di freno, quasi di maledizione della quale non sappiamo liberarci. Oggi non potremmo più fare la piazza del Duomo o i lungarni perché mancherebbe la capacità d’ispirazione che ebbero i pisani prima della Meloria, quando dominavano i mari e vedevano in questa loro missione qualcosa di divino che dovesse essere degnamente celebrato. Da allora, l’anima pisana è malata di orgoglio ferito e non è capace di esprimere una profondità di pensiero che sia in sintonia con i propri tempi”. 

Eppure Pisa oggi avrebbe tanto di cui vantarsi. Ha tutti i requisiti per essere una città felice: un clima mite, il mare a dieci chilometri, la collina a sette, la montagna per lo sci a meno di un’ora; ha una posizione baricentrica, un aeroporto internazionale, un porto (il “porto di Pisa”, che alcuni chiamano Livorno) a 20 chilometri; ha tre università prestigiose e uno dei più grandi nuclei nazionali del Cnr, infine ha musei e monumenti che tutto il mondo ci invidia. Ma non è una città felice. 

Quanto dovrà passare perché Pisa ritrovi la sua serenità, dimentichi la sua sconfitta e il suo impero perduto, perché la “pisanità” diventi finalmente un sentimento positivo? Nessuno può dirlo. Ma non sarà certo il folklore a guarire l’orgoglio ferito. I pisani contemporanei hanno in uggia quel falso folklore che simula, una volta all’anno, i fasti di una repubblica marinara che non c’è più. Anzi, considerano quella regata un po’ blasfema, un confronto di muscolosi atleti che non ha il diritto di evocare il fasto di un’epoca. 

Eppure la “pisanità” malata, questo umore scontroso, questo malessere del presente, sfugge spesso ai visitatori. Se Malaparte fu diffidente di Pisa e dei pisani, altri visitatori trovarono invece una grande serenità nei silenzi della città, nel suo pathos. 

Scriveva Elizabeth Barrett: “Pisa, ecco una delle piccole, deliziose città del silenzio. Strade sonnacchiose dove cresce l’erba fra pietra e pietra, dove ruzzano nella solitudine gruppetti di ragazzi”. Vista dagli altri, Pisa può veramente apparire così, tenera e silenziosa più che altera e scontrosa. E allora, per animi tormentati, Pisa può essere l’ideale: se il suo orgoglio ferito non traspare, resta intatta quella profumata aurea da oasi che si respira nelle strade e nelle piazze, tanto che Shelley poté trovare l’ispirazione per comporvi l’elegia In morte di Keats e Leopardi scrivere in una notte di aprile, profumata di glicine, la poesia A Silvia.

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Le prime testimonianze storiche di Castellina iniziano con un nucleo abitativo Etrusco posto sul colle di Salivolpi dove attualmente sono visibili un pozzo artesiano e i resti del muro di cinta dell'insediamento. Il vicino tumulo di Monte Calvario con quattro tombe a camera disposte a croce secondo i punti cardinali, avallano l'ipotesi dell'importanza del sito nei secoli VII e VI A.C. .

Di entità rilevante anche la necropoli del Poggino in località Fonterutoli riportata alla luce da pochi anni dal locale Gruppo Archeologico. Il borgo di Castellina, nella attuale locazione, ha probabili origini romane, ma si perdono le tracce nel corso dei secoli fino all'importanza strategico - militare che ebbe nell'Alto Medioevo. La storia parla della Castellina dei Trebbiesi dell'XI secolo, nome dato dai nobili del Trebbio della consorteria dei Conti Guidi, proprietari di un castello nelle vicinanze i cui labili resti sono visibili da Badiola. Nel XII secolo diventa un importante presidio militare fiorentino, posto a confine fra gli stati di Firenze e di Siena. Centro principale dell' antica Lega del Chianti con Radda e Gaiole nel XIII secolo, successivamente, nei secoli XIV e XV Castellina è teatro di incursioni e saccheggi da parte dello stato senese. Tali eventi obbligarono i Fiorentini a porre in opera continue ristrutturazioni e rafforzamenti della cinta muraria affidandone la direzione dei lavori a famosi architetti tra i quali Filippo Brunelleschi. 

Nel 1478, mentre Firenze è in guerra a causa della congiura dei Pazzi, a Castellina viene inviato Giuliano da Sangallo a rafforzare nuovamente le strutture di difesa: di questo episodio vi è una cronaca esauriente nelle "Vite" del Vasari. Baldassar Castiglione nel suo "Cortegiano" descrive invece un assedio di quaranta giorni da parte del Duca di Calabria, avversario mediceo, dove vennero usate le artiglieriedell'epoca come bombarde , catapulte e proiettili "medicati" capaci di causare epidemie e pestilenze. Dopo la fine della guerra fiorentina Castellina torna ai Medici nel 1483. Nel XVI secolo il paese perde la sua importanza strategica . La guerra fra Siena e Firenze è terminata e l'unificazione della Toscana in Granducato di Cosimo I dei Medici trasforma il vecchio avamposto militare in centro rurale strutturato secondo i canoni del podere a mezzadria. Nel 1865 nasce il comune di Castellina e la sua sede viene trasferita nel 1927 nella restaurata rocca Medievale di piazza del Comune. La seconda guerra mondiale vede il paese teatro del passaggio del fronte. I bombardamenti distruggono l'antica porta Fiorentina all'estremo nord di via Ferruccio e l'attigua Chiesa Parrocchiale viene seriamente danneggiata, facciata e campanile vengono ricostruiti e modificati nella forma attuale alla fine del conflitto

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Il Santuario di Montenero 

 

Montenero, collocato su una collina che domina il mare e il porto di Livorno, è tra i luoghi della Toscana di maggior fama dovuta particolarmente al suo celebre Santuario dedicato alla Madonna delle Grazie. Si racconta che un pastore storpio, intorno al 1345, trovò una immagine miracolosa che gli chiese di essere trasportata sul colle di Montenero. Udita la voce il pastore fece come gli era stato chiesto e arrivato in cima al colle si trovò guarito. Da allora quell'immagine della Madonna non ha mai smesso di essere fonte di devozione e di grazia per tutti coloro che vi si rivolgono e il Santuario che vi è nato costituisce meta di pellegrinaggi e di visite da parte di un grande numero di persone.

 

Origini 

Le origini del Santuario risalgono al 15 maggio 1345, festa di Pentecoste, quando, secondo la tradizione, un povero pastore storpio trovò l'immagine miracolosa della Vergine Maria e seguendo un'intuizione interiore la portò sul colle di Montenero, luogo già conosciuto come rifugio di briganti e per questo considerato oscuro, tenebroso... il "monte del diavolo". 

Al di là delle molte leggende che circondano la storia del ritrovamento dell'immagine della Madonna, che la critica attribuisce invece ad un certo Iacopo di Michele detto Gera, sembra che tale immagine sia comparsa a Montenero in seguito a una rinascita di fervore religioso, intorno al 1341. Proprio in questo anno gli abitanti di Livorno, allora poco più di un villaggio di pescatori, avrebbero organizzato un culto autonomo di immagini sacre, dipinte di recente, osteggiato però dalle autorità ecclesiastiche che intimarono la cessazione del culto e la sparizione delle relative immagini. Non è da escludere che davanti a questa ostilità, l'immagine sia stata occultata e poi ritrovata vicino al greto del fiume ''Ardenzo'', da quel pastore che solerte la portò in cima al monte per affidarla quasi sicuramente alla custodia di qualche eremita. 

La storia 

La fama dell'immagine miracolosa si diffuse presto, a motivo delle tante grazie operate dalla Beata Vergine; cominciano i pellegrinaggi e con essi crescono le offerte per il piccolo oratorio che ospita la Madonna. Già nel 1380 furono iniziati i lavori per ampliare la Cappella e i locali che servivano al riparo dei pellegrini. Ai primi custodi del santuario, quasi sicuramente i frati terziari, seguirono le custodie dei Gesuati (dal 1442 al 1668) e dei Teatini (dal 1668 al 1792 ) indicati allora come i più qualificati ad espletare il servizio presso il Santuario. Infatti nel 1720, i Teatini iniziarono i lavori di ampliamento del Santuario che terminarono nel 1774. In questo lasso di tempo la Madonna di Montenero operò alcuni miracoli a favore di tutta la città tra i quali quello del 1742 quandò la città fu sconvolta da un violento terremoto e ancora una volta soccorsa dalla sua protettrice e dalla sua immagine che fu trasportata in città e posta davanti alla Collegiata. A Livorno quel miracolo non fu mai dimenticato tanto che ogni anno si rinnova il voto che i livornesi fecero alla Madonna "...di digiunare in perpetuo il 27 gennaio, di non fa balli, né maschere, di assistere nella Collegiata stessa all'annua funzione di ringraziamento...''. Nel 1792 il Santuario fu affidato ai Monaci benedettini Vallombrosani che ne sono attualmente i custodi. 

 

Montenero è tra i luoghi della Toscana di maggior fama dovuta particolarmente alla presenza del Santuario. Posto su un colle a 300 s.l.m., Montenero gode di un ampio orizzonte marino e terrestre di particolare bellezza. Panorami incantevoli si aprono sotto gli occhi degli osservatori. Di qui lo sguardo corre allo scoglio della Meloria, memorabile per il tradimento del Conte Ugolino (1284) e per la celebre battaglia tra Genova e Pisa, ma anche alla pianura di Livorno con il suo Porto e a quella di Pisa. A sud si può vedere l'isola d'Elba, la Corsica e la Sardegna: meravigliosi i suoi tramonti. Il nome "Montenero" è dovuto ad una vecchia fama che diceva questa località monte tenebroso, forse perchè ricoperto da irte giogaie e infestato dai briganti che, con tutta probabilità, aspettavano qui l'arrivo dei bastimenti a cui dare l'assalto. Montenero è unito a livorno con un autobus e con una funicolare che sale fino alla piazza antistante il Santuario. La piazza superiore fu creata dai monaci nel secolo scorso quasi atrio scoperto del Santuario stesso. Da una parte vi si affaccia la facciata della chiesa, dall'altra il Famedio civico: cappelle che racchiudono i resti mortali di grandi livornesi quali il Guerrazzi, Marradi, Meyer, Castelli, Fattori ed una lapide in ricordo di Pietro Mascagni ed Amedeo Modigliani. 

L' 8 settembre ricorre la festa popolare più sentita nella quale il pellegrinaggio dei livornesi è ininterrotto e il Santuario è illuminato fino a notte inoltrata dopo la processione mariana notturna dalla Cappella dell'Apparizione al Santuario stesso. 

La Cappella dell'Apparizione 

Situata poco prima di Piazza delle Carrozze, è il luogo dove la tradizione fa risalire il ritrovamento dell'Immagine della Madonna di Montenero da parte di un pastore. Costruita nel 1956, più ampia e più bella della preesistente e in luogo stesso dove si trovava la ''Cappellina" semidistrutta nel corso dell'ultima guerra (1943). 

 

Chiesa 

La Chiesa si presenta in stile barocco, assai suggestivo e invitante al raccoglimento e alla preghiera. Sull'Altare Maggiore troneggia l'Immagine Sacra di Maria in un tabernacolo marmoreo contornato da una raggiera dorata. L'immagine della Vergine, attribuita alla scuola pisana ed in particolare a Iacopo di Michele detto Gera, è dipinta su tela sovrapposta a tavola. La Vergine con la veste rossa ed il manto blu, è seduta su un guanciale e intorno al capo si legge la scritta "Ave Maria Mater Christi". Il volto è inclinato verso il bambino che le siede in grembo aggrappato con le manine alla veste materna, mentre tiene un filo che lega delicatamente l'uccellino sul braccio di Maria, quasi ad indicare che la fede è come un filo che trae la salvezza da Cristo cui ci tiene uniti la devozione della Madonna. 

Altre importanti opere d'arte della Chiesa sono la Cupola e le Tele degli altari laterali. Nella Cupola, restaurata nel 1992, è rappresentato il Paradiso in festa per la più alta glorificazione di Maria, incoronata Regina degli uomini e degli angeli. Il dipinto, eseguito nel 1773, è opera del celebre maestro Traballesi. Nel meraviglioso scenario appaiono santi e angeli con personaggi dell'Antico Testamento: da Adamo ed Eva, a David, Daniele, Aronne, Mosè, Sansone etc. fino a San Giuseppe, San Giovanni Battista, S. Anna, S. Cecilia e altri martiri. Le Tele invece più importanti sono quella di San Giovanni Gualberto, fondatore dell'Ordine Vallombrosano, nel secondo altare a destra. La Tela di autore ignoto raffigura il Santo in atteggiamento di preghiera sullo sfondo delle alture di Vallombrosa, con ai piedi l'Abbazia da lui fondata. Un altra Tela, posta nel terzo altare a destra, raffigura l'Assunzione di Maria ed è opera del teatino Filippo Galletti. In basso alla tela, al centro, vi è una nicchia nella quale è custodito, ben conservato un Crocifisso che si ipotizza essere stato in origine in una grotta della località Romito, incolto dirupo sul Mare Tirreno nei pressi di Livorno. Ai lati della Vergine sono rappresentati l'Apostolo S. Pietro e il teatino S. Andrea Avellino. Sempre del Galletti è il dipinto della Madonna che apparve a San Gaetano Thiene, e gli presenta il Bambino Gesù. Fu solennemente inaugurata nel 1696 nella festa del Nome di Maria.

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San Vincenzo fu abitato fin da età antichissima; le prime tracce di presenza umana risalgono al periodo paleolitico superiore ed il luogo continuò ad essere popolato fino all'entrata in epoca storica.

Ciò si deve probabilmente alla sua fortunata posizione, dove le Colline Metallifere arrivano sin quasi sul mare formando una strettoia che mette in comunicazione la pianura del fiume Cecina con quella del fiume Cornia. Il primo nome conosciuto è quello di Torre di San Vincenzo , derivato dalla torre costiera un tempo facente parte di una residenza privata, ma di recente acquisita dal Comune.

Questa torre fa parte di una serie di fortificazioni e vedette di avvistamento disseminate lungo la costa, costruite al fine di difendere la spiaggia e i centri abitati dell'interno dagli occasionali attacchi dei pirati.

Agli Etruschi non sfuggì certamente l'importanza strategica di San Vincenzo, con le due valli laterali che incidono la collina creando agevoli approdi con la possibilità di risalire verso l'interno. Inoltre il luogo fu intensamente popolato sia per la vicinanza a Populonia, all'epoca potentissima Lucumonia, sia per la presenza di minerali e di estese foreste, quindi di fonderie, che ne fecero sicuramente una zona industriale di estrema importanza per tutta l'area.

Fra il IX ed il V secolo a.C. venne esercitata un'intensa attività mineraria alla quale era legata un'industria siderurgica ed un commercio di esportazione che costituirono una fonte notevole di ricchezza.

I Romani, conquistata la zona, fecero passare da San Vincenzo la via Aurelia e con tutta probabilità vi costruirono un villaggio e un approdo.

A seguito delle invasioni barbariche i Longobardi costruirono, sulla collina dominante il mare, il Castello di Biserno (nelle attuali cave di San Carlo) che, con l'avvento degli imperatori germanici, passò in possesso dei Conti della Gherardesca. 

Nel 1304 la Repubblica di Pisa distrusse il Castello e costruì la torre costiera, costruzione che dette il via alla formazione del primo nucleo abitato composto da casupole di pescatori e contadini, dando vita alla nuova comunità di San Vincenzo, realizzandovi anche una dogana e un pontile di carico.

Con la caduta di Pisa la comunità passò nel 1406 sotto il dominio fiorentino e divenne parte del territorio di Campiglia.

Il 17 Agosto 1505 alla Torre di San Vincenzo le milizie fiorentine sconfissero Bartolomeo D'Alviano, comandante di un esercito di ventura, che accorreva in aiuto dei ribelli pisani. Dopo questo fatto la comunità di San Vincenzo seguirà le sorti del Granducato di Toscana fino all'unità d’Italia.

San Vincenzo è divenuto comune autonomo nel 1949, distaccandosi da quello di Campiglia Marittima, con Decreto del Presidente della Repubblica n. 414 del 3 giugno 1949.

Spiagge profonde di sabbia chiara e finissima si allungano su un mare color cobalto.

La pineta, protesa fino al mare, è folta ed ombrosa, ricca di percorsi per passeggiare, fare trekking, andare a cavallo. 

San Vincenzo unisce, alle bellezze naturali, i comforts di una località accogliente ed ospitale, che la rendono meta di turismo internazionale, dove si possono vivere, tutto l'anno, vacanze rilassanti e serene.

Abitata fin da epoca antichissima, poi insediamento etrusco e romano, oggi San Vincenzo è una cittadina moderna ed efficiente, ricca di strutture ricettive e sportive e di un attrezzato porto turistico.

Ha fama internazionale per i suoi ristoranti, che propongono una cucina basata sui prodotti del territorio e gli eccellenti vini della zona. 

Il Parco di Rimigliano, un ambiente naturale ricco e protetto, la vicinanza ai borghi medievali, alle vestigia etrusche di Baratti e Campiglia ed alle terme di Venturina, la rendono un baricentro ideale per interessanti visite ed escursioni nella Costa degli Etruschi. 

E' un mare trasparente e cristallino quello che bagna San Vincenzo, orlato da una folta pineta e dalla rigogliosa macchia mediterranea. 

La splendida spiaggia, di sabbia dorata e fine, si allunga per molti km ed ospita stalibilmenti balneari alternati ad ampi tratti di spiaggia libera ed ai Punti Azzurri, dove è possibile affittare sdraio ed ombrelloni.

Punteggiano il litorale l'antica Torre di San Vincenzo, edificata nel 1300, che ha dato il nome alla località, insieme ad altre fortificazioni e vedette di avvistamento, un tempo utilizzate per la difesa della costa dagli assalti dei pirati.

L'aria è tersa ed una leggera brezza favorisce la pratica di sport marini.

Antico ed importante scalo per il commercio di prodotti, oggi il porto turistico, capiente ed attrezzato, è in grado di ospitare centinaia di posti barca

 

IL PARCO NATURALE DI RIMIGLIANO - SAN VINCENZO (LIVORNO) 

 

Una natura intatta e protetta caratterizza il Parco Naturale di Rimigliano, oasi floro-faunistica, situata direttamente sul mare, che invita a splendide passeggiate nel verde. 

Fondato nel 1973, con una superficie di circa 120 ettari, il Parco rappresenta uno dei luoghi più suggestivi del litorale.

Sull'arenile, che si allunga tra San Vincenzo ed il golfo di Baratti, fiorisce il giglio di mare e le dune sabbiose sono ricoperte di ginepri, mirto e lentisco:

Boschi di lecci e sugheri e la folta pineta lambiscono la spiaggia di sabbia fine e dorata.

L'arenile è libero ed ospita Punti Azzurri, dotati di vari servizi.

Nel Parco vivono, tra gli altri, i conigli selvatici, le donnole e le volpi, tra i volatili, i fagiani e le cincie.

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La Costa degli Etruschi ,le sue colline,i suoi promontori,sono i luoghi dove trovi Castiglioncello,sospesa tra le Spiagge bianche,le scogliere intagliate dal vento,i borghi medioevali,baie,calette e colline di macchia mediterranea. In spiaggia si stà all’ombra dei pini,i ginepri ti accompagnano fin sugli scogli,i lecci sono subito a un passo dal mare. Tra mare e natura insomma,si snoda il percorso che conduce a piccoli tesori architettonici,artistici,custoditi tra le pieghe di questa terra amata dagli Etruschi che l’hanno disseminata di importanti testimonianze. Castiglioncello è la perla della Costa degli Etruschi,un luogo incantato sempre riscoperto nei secoli,anche dopo gli Etruschi,dai Romani,da nobili Fiorentini in Età Medioevale, da politici di tutto il ‘900,da poeti di cui D’Annunzio è il più noto, da Grandi registi,attori,sceneggiatori e così via dicendo. Gli anni ’50 e ’60 videro Castiglioncello protagonista di primissimo piano dei fenomeni di rinnovamento mondano e di costume della nostra Italia,importanti film della nostra storia cinematografica ebbero qui i primi vagiti,non vi è personaggio celebre che in quegli anni non sia passato per Castiglioncello. Volutamente ho posposto la presenza dei Pittori Macchiaioli,gli Impressionisti Italiani,che a partire dalla seconda metà del 1800 frequentarono con continuità testimoniata dalle opere intitolate a Castiglioncello questo promontorio,arrivando a dar vita alla Scuola Pittorica di Castiglioncello. Non a caso Castiglioncello si prestò a fornire la base d’osservazione di quei colori mediterranei-toscani che L’impressionismo italiano cercava di personalizzare traendo lo spunto di fondo dalle principali scuole europee. A parte trattiamo dei Pittori Macchiaioli quali Odoardo Borrani, Giovanni Costa, Giovanni Fattori, Telemaco Signorini,Giuseppe Abbati, Vincenzo Cabianca,Pietro Senno, Ugo Manaresi,Adolfo Tommasi,Vittorio Corcos, Alfredo Muller,Giovanni Bartolena,perché la loro opera è di tale vitale importanza per la pittura italiana,da richiedere un nutrito capitolo. Castiglioncello è ancora oggi e più di prima anche arte,spettacolo,cultura,il Festival di Castiglioncello dura ormai quasi tutto l’anno e ARMUNIA si incarica di mantenere sempre accesa questa fucina di teatro,musica,dibattito su grandi temi di Filosofia,Semeiotica,Infanzia,Socialità,Letteratura,Scultura. La Costa degli Etruschi,Castiglioncello,un luogo,uno spazio dove ancora la vita può permettersi di scorrere più lentamente che altrove. I borghi medievali,addossati alle colline e ricchi di una storia millenaria,hanno viuzze lastricate,chiese raccolte,palazzi turriti,pievi e castelli,che fanno rivivere un tempo passato che qui sembra così vicino. Ai loro piedi il mare che è l’anima della Costa degli Etruschi e che ti accompagna sempre. Vive nella storia di questo territorio,nei suoi paesaggi,colora i tramonti,profuma l’aria. E’ un mare vivo e vitale,popolato da una fauna pregiata.Le sue spiagge entrano nelle pinete e nei boschetti di tigli e tamerici,i cui aromi profumano l’aria e si confondono con l’odore del salmastro. E la macchia mediterranea ,con i caratteristici tomboli che si spingono fino alla spiaggia quasi a congiungersi con il mare cristallino. Tutto il bello è a un tiro di schioppo,le oasi di Bolgheri e della Magona,e quelle delle colline livornesi,le aree protette,i rifugi faunistici popolati da specie rare e pregiate,una campagna ricca di colori e di profumi:nella Costa degli Etruschi la natura,salvagurdata e protetta,non è solo cornice,ma l’essenza stessa di questa terra. Boschi di ulivi,lecci e sugheri,selve di castagni,sono attraversati da ricami di sentieri che conducono a borghi, monumenti antichi,ma anche alle Città d’arte come Pisa,Volterra,San Gimignano,Siena,Arezzo,Firenze,e poi ai borghetti come Bolgheri,Bibbona,Donoratico,Massa Marittima,Calci. Nella campagna fertile,che dal mare si protende fino ai pendii collinari,si dipana la Strada del Vino,illuminata dal sole che filtra tra gli alberi e fa brillare le vigne,un itinerario dei sensi e dell’anima. E’ a Bolgheri che nasce nel 1970,il Sassicaia,non soltanto un vino ma uno dei miti dell’enologia mondiale. In soli vent’anni in questo territorio si è verificato un vero e proprio boom della produzione vinicola di qualità eccelsa. Quell’area marginale che era tutta la lunga fascia collinare compresa tra Castiglioncello e Piombino,è divenuto il luogo dell’apoteosi del vino italiano,portandosi a traino anche tutti gli altri prodotti di questa terra,dal miele all’olio extra vergine di oliva. E in questo territorio dell’Alta Maremma,dove esistono per il Vino ben tre denominazioni di origine controllata ( Montescudaio – Bolgheri – Val Di Cornia ),la gastronomia è un’arte antica che trova alimento nella qualità dei prodotti del territorio e nella fantasia dei cuochi,dando vita a veri e propri luoghi di culto per gourmet di tutto il mondo alla riscoperta di sapori e gusti dimenticati https://tuscanysea.com/backoffice/immagini/tuscanysea.com/17-17-5-2013-10-44-431.jpg https://tuscanysea.com/backoffice/immagini/tuscanysea.com/17-17-5-2013-10-44-432.jpg

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Nonostante Cecina sia una cittadina piuttosto recente, sul suo territorio sono stati rinvenuti reperti antichissimi di varie epoche (paleolitico, etrusco, romano), le cui testimonianze possono essere ammirate presso la villa settecentesca della "Cinquantina" sede di un museo etrusco-romano e di un museo etnografico facilmente raggiungibile attraverso un viale ce unisce il mare a San Pietro in Palazzi. Di particolare interesse storico è ciò che rimane della villa romana di San Vincenzino. Sui resti di questa villa, di cui sono visibili le fondazioni, i mosaici e una cisterna sotterranea, sorge una villa che ospita interessanti mostre archeologiche

 

La fascia arborea che si estende a nord e a sud di Marina di Cecina, tra Vada e Marina di Bibbona, e che occupa complessivamente una superficie di 400 ettari allungandosi lungo la costa per più di 15 km, costituisce la Riserva Naturale Biogenetica dei Tomboli di Cecina. Questo importante complesso botanico deve la sua nascita al Granduca di Toscana Leopoldo II che, nel 1839, ne ordinò la creazione per completare l’opera di bonifica della palude che si estendeva intorno al Fiume Cecina.

Tra il mare e le pinete da Vada a Bibbona

Dal centro di Vada ci si dirige verso la zona balneare ma, poco prima di raggiungerla, si svolta a sinistra sulla strada asfaltata che corre poco lontano dall’arenile. Si prosegue su questa per circa 3 km fino a raggiungere la strada asfaltata per Molino a Fuoco. Su questa si gira a destra arrivando poco dopo ad uno slargo. Qui si imbocca Via della Forestale, una bella pista chiusa alle auto da sbarra che si inoltra nella pineta. Dopo circa 1 km la via ritorna asfaltata e conduce, dopo aver superato una sbarra, ad incrociare un’altra strada asfaltata sulla quale si piega a destra arrivando alla spiaggia. Tenendosi lungo i margini di quest’ultima, si pedala faticosamente fino ad individuare, sulla sinistra, un’apertura appositamente predisposta che permette di riaccedere alla pineta. Questa va attraversata completamente tenendosi il più possibile paralleli alla linea di costa fino a confluire sulla strada asfaltata che, a destra, va a superare su ponte il Fiume Cecina entrando a Marina di Cecina. 

Dal ponte, svoltando a sinistra, è possibile raggiungere Cecina, borgo sorto nelle immediate vicinanze della foce dell’omonimo fiume. La cittadina nacque nel XIX secolo, cioè quando tutta la zona venne bonificata dalle paludi che un tempo caratterizzavano gran parte del litorale toscano e laziale. Nel centro storico merita sicuramente una visita la villa la Cinquantina, sede del museo etrusco-romano. 

Chi non vuole raggiungere Cecina, subito dopo il ponte svolta a destra e attraversa Cecina Mare giungendo alla strada lungomare. Si segue quest’ultima in direzione Marina di Bibbona fino a che la strada, giunta ai limiti dell’abitato, non compie una netta svolta a sinistra dirigendosi verso la pineta. A questo punto si abbandona l’asfalto per prendere a destra una via sterrata che si inoltre nella pineta rincrociando, poco dopo, l’asfalto. Su questo si piega a destra e dopo 100 metri si individua, sempre a destra, un grosso cancello in legno con un’apertura laterale per il passaggio di pedoni e ciclisti. Superato il cancello si entra nella splendida Riserva Biogenetica dei Tomboli di Cecina , che ha nella pineta il suo punto di forza. Si inizia così a percorrere una larga carrareccia che poco dopo arriva al punto di partenza di alcuni sentieri segnalati. 

Nella parte meridionale della Pineta di Cecina, infatti, oltre ad alcune aree di sosta sono stati approntati alcuni percorsi segnalati con bolli di diversi colori a seconda della lunghezza (questi sono frequentati anche da escursionisti a piedi per cui è opportuno porre attenzione). Le frecce in legno da seguire sono quelle con il bollo verde, frecce che di lì a poco invitano ad abbandonare la carrareccia per piegare a destra su un bel sentiero reso soffice dagli aghi di pino. 

Progressivamente ci si avvicina al mare arrivando così alla zona caratterizzata da interessanti dune costiere. Le dune costiere sono ondulazioni sabbiose colonizzate e, in pratica, cementate dalla vegetazione erbacea resistente alla salsedine. Le dune costituiscono una vera e propria rarità per le coste italiane dato che gli insediamenti turistici hanno determinato, su gran parte del litorale tirrenico, la scomparsa di questa naturale barriera protettiva.

Seguendo sempre le frecce verdi dopo circa 6,5 km si arriva ai limiti della pineta, in prossimità di Marina di Bibbona. In prossimità del borgo di Marina di Bibbona, a pochi metri dalla riva, è possibile ammirare l’imponente forte di Bibbona, edificato in epoca medicea. Pedalando poi lungo la spiaggia si possono osservare interessanti esemplari di ginepro fenicio e le paludi formatesi lungo l’estuario della fossa Camilla.

A questo punto si può iniziare il percorso di ritorno verso Marina di Cecina, percorso che si svolge lungo la facile carrareccia che attraversa completamente la pineta. In questo modo si riesce dal cancello che consente l’accesso alla pineta e si riattraversa Marina di Cecina e il ponte sul Cecina. Da qui in poi è sufficiente seguire l’asfalto per ritornare a Vada. 

La villa romana di S. VINCENZINO a CECINA .

 

Lungo la costa dell' Etruria settentrionale, in quello che fu un tempo il territorio di Volterra, sorsero in età romana numerose ville, scelte quale residenza con fondo annesso, da parte di personaggi di illustre rango.

Questo è il caso della villa romana di S. Vincenzino. Il complesso archeologico, posto su un rilievo naturale del terreno, nei pressi dell'abitato moderno di Cecina, è lambìto a nord dal fiume omonimo, non lontano dal suo sbocco al mare, mentre alle sue spalle correva la via costiera che collegava Roma con Pisa e la Liguria.

Noto fin dal Settecento, esso è tradizionalmente attribuito alla proprietà di Albino Cecina, membro della nobile famiglia volterrana dei Caecina, che fu praefectus Urbi nel 415 d.C., sulla base del resoconto di viaggio del poeta latino Rutilio Namaziano che qui avrebbe trovato ricovero e ospitalità. 

Se non è possibile confermare l'attribuzione a tale proprietario, che ormai segna il toponimo in antiche carte geografiche e portolani, spesso definito "Albini villa", non c'è dubbio che si tratti di un edificio di notevole rilevanza, articolato in settori di diversa destinazione, che conobbe successive modificazioni d'uso nell'ampio periodo storico nel quale fu in vita (dal I secolo a.C. al V secolo d.C.). 

Il primo impianto edilizio, costruito sul modello di villa urbana con gli ambienti dislocati su aree porticate e giardini, sorse in concomitanza al grande sistema idrico costituito da una grossa cisterna sotterranea che serviva all'approvvigionamento della villa, eccezionale complesso tuttora integro e visitabile, che si estende in una serie di cunicoli provvisti di un sistema di Filtraggio e depurazione dell'acqua.In collegamento con le strutture di superficie, una serie di pozzetti anulari permettevano di attingere l'acqua. 

Sicuramente aggiunti in epoca imperiale avanzata (II-III secolo d.C.) sono altri corpi di fabbrica, come il quartiere delle Terme , costituito dalla serie di ambienti canonici destinati ai bagni arricchiti da una pregevole decorazione architettonica e scultorea; e il grande triclinio estivo con ninfeo, non serviti dal sistema idrico originario. In tale contesto spicca il rinvenimento di una statuetta acefala, in finissimo alabastro, raffigurazione di Iside. 

A una fase successiva (III sec. d.C.) appartiene poi un settore a carattere produttivo per la spremitura delle olive, di cui rimangono i resti del frantoio e una macina in pietra, e le strutture per la lavorazione dell'olio, che oblitera parte degli ambienti di abitazione della villa. Buona parte dei resti archeologici e il complesso della cisterna sono attualmente visitabili nell'area sistemata a Parco .

 

Piccola guida per la ricerca delle proprie soluzioni per le vacanze a Cecina.

 

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Occorre comunque considerare che Cecina si trova sulla Costa degli Etruschi , la quale si trova di fatto in Toscana mare , e la Costa Toscana è unica al mondo. 

Quindi nel consultare la guida alberghi costa toscana sarà bene orientarsi alla voce vacanze costa Toscana e ricercare gli alberghi in maremma o, per chi lo preferisce,hotel Costa Toscana.

 

Dato che negli ultimi anni il turismo ha in larga parte dimostrato di preferire soluzioni di tipo abitativo oltrechè alberghiere, residence Cecina, appartamenti vacanze Cecina ,appartamenti per vacanze sulla Costa toscana, sono diventate voci di ricerca frequenti su testi inerenti guida turismo costa toscana.

 

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by webmaster@piramedia.it

I ruderi dell'alta Torre di Donoratico dominano un largo tratto del litorale tirrenico. Circondata dagli scarsi resti delle due cinte murarie che l'avvolgevano, dalle fondamenta dell'antica chiesa castrense e altri edifici venuti recentemente alla luce [sono ancora in scorso scavi archeologici è ciò che resta dell'antico castello costruito dai Conti di Donoratico, i Della Gherardesca. Dalla metà 1100 divenne la loro sede privilegiata. La funzione del castello era quella di difendere questa parte delle coste dalle incursioni sanguinarie dei saraceni, dei pirati e dei nemici della Repubblica Pisana prima e, nel corso del 1400, Fiorentina poi. 

Il ritrovamento di ceramiche e di un circuito difensivo 'ciclopico' [ovvero costruito con grossi blocchi di pietra], oltre alla presenza di tombe dello stesso periodo scavate nella roccia dei terrazzamenti sottostanti prova la presenza su questa altura di un'importante e vasta fortezza etrusca. La prima menzione esplicita di un insediamento fortificato risale al 1176, ma l'esistenza del castello è sicuramente più antica e sembra, grazie alla datazione di reperti rinvenuti durante gli scavi appartenenti ad un insediamento ligneo precedente al castello in pietra, risalga addirittura a prima del X° secolo. 

La prima cinta muraria in pietra che si estende lungo i margini della sommita del rilievo, di cui rimangono numerosi tratti a sud-ovest e sud-est, risale alla seconda metà dell'XI° secolo. La pietra fu usata all'interno del recinto per la costruzione della chiesa, provvista di un’unica navata e ampliata nel secolo successivo. Nel corso del XII° secolo fu costruita una prima torre utilizzata come residenza fortificata dai Della Gherardesca, con solai lignei e copertura a volta in mattoni, in prossimità della chiesa insieme ad una nuova cinta muraria, più alta e più spessa, della quale restano ancora intatti alcuni tratti - sui versanti ovest ed est - e l’originaria porta principale a nord. L'area sommitale fu racchiusa in un secondo anello fortificato dotato di un’unica entrata aperta lungo il tratto sud-ovest. Anche la chiesa fu ampliata e abbellita. Nel secolo successivo fu costruita una nuova torre appoggiata alla preesistente. Fra il XIV° e il XV° secolo furono effettuati interventi mirati a fortificare le strutture preesistenti, costruendo in alcuni tratti dei muri a scarpa addossati al circuito murario, ma iniziò anche l'abbandono delle prime abitazioni. Il nucleo del castello fu fatto saltare nel 1447 dall'esercito di re Alfonso d'Aragona durante la sua discesa in Maremma. 

Ancora oggi la torre principale si eleva per tutta la sua primitiva altezza con totalmente intatto il lato perimetrale sud e parte di quelli est e ovest. Sul lato est di questa torre si trova un'altra struttura i cui lati e aperture sono ancora ben leggibili. I due edifici rappresentano uno dei più importanti esempi di architettura medievale in questo territorio e costituivano la residenza signorile. Del borgo, distribuito concentricamente lungo i sottostanti terrazzamenti, sono identificabili tra la vegetazione e malgrado gli imponenti crolli, resti appartenenti agli edifici che lo costituivano. Durante i recenti scavi sono tornate alla luce pavimentazioni in cotto e pietra, i muri perimetrali della chiesa ed alcune colonne quadrate della sua navata.

 

La prima menzione esplicita di un "castrum" risale al 1176, ma il ricordo di "domini de Donoratico” già nel 1161 fa presumere che l'esistenza del castello sia più antica.

La chiesa castrense è documentata dal XII secolo, mentre quella di S. Colombano, attestata sin dal secolo XI tra i possedimenti di S.Pietro a Monteverdi, era situata, come risulta da un atto del 1263, "iusta castrum in plano ipsius castri".

Alcuni atti della seconda metà del XII secolo testimoniano la compresenza di diritti sul castello tra diversi soggetti signorili: un ramo dei conti Gherardeschi ed il monastero di S.Pietro in Palazzuolo

Dalla seconda metà del XII secolo l'insediamento diviene sede privilegiata del ramo più importante dei conti Gherardeschi che, successivamente, prese il nome dal castello. Nel 1270 il castello di Donoratico fu occupato dai conti di Biserno, ribelli al comune di Pisa ed appoggiati dalle forze guelfe e angioine. In questo periodo, accanto all'area sommitale vi era un "burgus", indice di una certa consistenza demica dell'insediamento. Nel corso del XV secolo, come i limitrofi centri anche il castello di Donoratico passa sotto il dominio fiorentino in concomitanza al graduale abbandono delle aree più limitrofe dell’insediamento

Nell'area sommitale si eleva per tutta la sua primitiva altezza una torre di cui si conserva totalmente il lato perimetrale sud e parte di quelli est e ovest. Immediatamente adiacente al lato est di questa torre si trova un'altra struttura turriforme i cui lati e relative aperture sono ancora ben leggibili. I due edifici, databili tra il dodicesimo ed il quattordicesimo secolo e che rappresentano uno dei più importanti esempi di architettura medievale in questo territorio, facevano parte dell'area signorile dell'insediamento.

In base ad un assetto che si ripete in tutti i castelli di quest'area l'insediamento era infatti costituito da una zona sommitale, dove si trovavano gli edifici di residenza signorile e un sottostante borgo, distribuito concentricamente lungo i sottostanti terrazzamenti e difeso da una cinta muraria in pietra. A sua volta anche l'area signorile era cinta da un ulteriore circuito difensivo, come nel caso di questo castello, dove proprio vicino alle torri sopradescritte sono ben visibili i resti della cinta e della porta che immetteva nell'area alta.

Tracce invece del circuito difensivo del borgo sono riconoscibili sui versanti ovest, est e nord in cui si conserva ancora una delle porte di accesso principali al castello. 

Tra la vegetazione, malgrado gli imponenti crolli, si riconosce inoltre l'andamento di molti muri perimetrali appartenenti a probabili edifici che componevano il borgo.

Durante le campagne di scavo 2000 e 2001, nella zona sommitale sono state aperte quattro aree (1000 - 2000 - 4000 - 5000) all’interno dell’originaria area signorile e nei terrazzamenti ad ovest di quest’ultima.

In contemporanea è stato avviato lo scavo di due grandi aree (3000 - 7000) poste a ridosso della porzione sud-ovest e sud-est interna al circuito murario in corrispondenza dello spazio originariamente occupato dal borgo.

A queste attività è seguita la ripulitura del sottobosco in corrispondenza dell’area sud-est del borgo finalizzata a riportare in luce le evidenze murarie non ricoperte da depositi di terreno, in seguito posizionate nel rilievo generale dell’insediamento.

Il deposito sinora scavato ha evidenziato una complessa sequenza stratigrafica relativa ad un arco cronologico compreso tra IV-III secolo a.C. e XV secolo.

 

Piccola guida per la ricerca delle proprie soluzioni per le vacanze a Donoratico.

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Dato che negli ultimi anni il turismo ha in larga parte dimostrato di preferire soluzioni di tipo abitativo oltrechè alberghiere, residence Donoratico, appartamenti vacanze Donoratico ,appartamenti per vacanze sulla Costa toscana, sono diventate voci di ricerca frequenti su testi inerenti guida turismo costa toscana.

 

Vale anche per questo secondo capitolo quanto precedentemente detto a proposito della Costa degli Etruschi , quindi nel leggere opuscoli su Donoratico o anche soltanto il dove dormire in Toscana occorre ricercare o digitare le voci residence Donoratico, appartamenti Donoratico, albergi Donoratico o anche hotel Donoratico.

 

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C’è poi il capitolo del monolocale vacanze molto gettonato dalle coppie ed anche dalle coppie con un bebè. Monolocali in affitto Toscana è quindi un termine di ricerca molto proficuo, come anche monolocali vacanze Toscana o monolocale Donoratico.

 

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Infine, non perché meno importante, occorre ricordarsi dell' Agriturismo Toscana o degli Agriturismi Toscana.

 

Quindi diamo un'occhiata a agriturismo Donoratico.

 

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by webmaster@piramedia.it

Importante centro turistico famoso per la "Giostra del Saracino" (torneo cavalleresco che si tiene la prima domenica di settembre di ogni anno) e per un'importante fiera antiquaria (prima domenica di ogni mese). La cattedrale gotica , la monumentale Piazza Grande: con il maestoso Palazzo delle logge di Giorgio Vasari , la stessa casa Vasari stupendamente affrescata , la casa natale di Francesco Petrarca , il Palazzo dei Priori , la chiesa di S. Maria delle grazie e quella di San Domenico (sec XIII - XIV) , che conserva sull'altare maggiore un pregevole Crocifisso di Cimabue sono solo alcune delle opere che danno lustro a questa cittadina insieme alla celeberrima chiesa di S.Francesco nella quale troviamo un imponente e prestigioso ciclo di affreschi della "Leggenda della vera croce" di Piero della Francesca: una delle massime realizzazioni di tutto il 400 e alla suggestiva Pieve S. Maria , uno dei più significativi edifici romanici della regione. Tra i vari musei citiamo quello "Medioevale e moderno" ed il Museo Archeologico con reperti preistorici , romani e soprattutto etruschi che si trova presso i resti dell'anfiteatro romano.

 

Arezzo, a m. 296 su un blando declivio di margine settentrionale della Val di Chiana là dove questa s’innesta col Casentino , il Valdarno, con gli ampi solchi dell’Arno, uno a oriente, , l'altro ad occidente, della dorsale appenninica del Pratomagno (1592 m).

La popolazione della città è di 108.000 ab.. L'abitato cittadino si espande, avvolgendo un pendio collinare su cui sorge, con una pianta pressoché semicircolare, il cui centro è occupato dal Duomo, che sorge in posizione dominante, a 286 metri. Dalla piazza del Duomo si dipartono a raggiera le tre principali vie della città che si dirigono lo alla Val di Chiana, al Valdarno di Sopra , al Casentino. Via Garibaldi taglia, le tre principali principali arterie, seguendo l’asse del semicerchio. All'esterno di essa, verso la linea ferroviaria, sorgono quartieri meno antichi, con strade ,rettilinee, ampie, alberate, che fanno capo alla grande piazza, nel cui centro sorge il monumento a Guido Monaco eretto nel 1981 in occasione del centenario del grande aretino.

Un aspetto caratteristico, conservano le vie del centro storico medioevale e le vie lastricate a fiancheggiate da edifici cinquecenteschi. Notevole il Duomo, la cui facciata è ristrutturazione moderna, in armonia , con l'architettura interna , a tre navate, di stile romano-gotico; bello e esagonale, anch'esso moderno e ricche le opere di pittura e di scrittura. Notevole Santa Maria della Pieve con i suoi portali, opera del XIII secolo, con un'elevata torre campacaria. Pregevoli le Chiese di S. Francesco (Sec. XIII restaurata tra il 1900 e il 1920) con gli affreschi di Piero della Francesca e di S.Domenico ( XIII; poi restaurata), costruita sul disegno di Nicola Pisano dell'Annunziata (1491-1517) di Antonio Sangallo , e di Santa Maria delle Grazie i ( XV) attribuita a Benedetto da Maiano con l'elegante portico, che, ricorda quello dei Servi , a Bologna, nonchè la Loggia del Vasari.

Arezzo è città della Toscana capoluogo di provincia, a m. 296 su un blando declivio di margine settentrionale della Val di Chiana là dove questa s’innesta col Casentino , il Valdarno, con gli ampi solchi dell’Arno, uno a oriente, , l'altro ad occidente, della dorsale appenninica del Pratomagno (1592 m).

La popolazione della città è di 108.000 ab.. L'abitato cittadino si espande, avvolgendo un pendio collinare su cui sorge, con una pianta pressoché semicircolare, il cui centro è occupato dal Duomo, che sorge in posizione dominante, a 286 metri. Dalla piazza del Duomo si dipartono a raggiera le tre principali vie della città che si dirigono lo alla Val di Chiana, al Valdarno di Sopra , al Casentino. Via Garibaldi taglia, le tre principali principali arterie, seguendo l’asse del semicerchio. All'esterno di essa, verso la linea ferroviaria, sorgono quartieri meno antichi, con strade ,rettilinee, ampie, alberate, che fanno capo alla grande piazza, nel cui centro sorge il monumento a Guido Monaco eretto nel 1981 in occasione del centenario del grande aretino.

Un aspetto caratteristico, conservano le vie del centro storico medioevale e le vie lastricate a fiancheggiate da edifici cinquecenteschi. Notevole il Duomo, la cui facciata è ristrutturazione moderna, in armonia , con l'architettura interna , a tre navate, di stile romano-gotico; bello e esagonale, anch'esso moderno e ricche le opere di pittura e di scrittura. Notevole Santa Maria della Pieve con i suoi portali, opera del XIII secolo, con un'elevata torre campacaria. Pregevoli le Chiese di S. Francesco (Sec. XIII restaurata tra il 1900 e il 1920) con gli affreschi di Piero della Francesca e di S.Domenico ( XIII; poi restaurata), costruita sul disegno di Nicola Pisano dell'Annunziata (1491-1517) di Antonio Sangallo , e di Santa Maria delle Grazie i ( XV) attribuita a Benedetto da Maiano con l'elegante portico, che, ricorda quello dei Servi , a Bologna, nonchè la Loggia del Vasari.

 

Reperti archeologici etruschi documentano l’esistenza di Arezzo (Arretium) fin dal VI sec. a.C. La città continuò ad essere fiorente nel periodo romano, in cui fu organizzata come municipio con un vastissimo territorio. 

Nel primo periodo imperiale la sua ceramica sigillata di colore rosso corallino con decorazioni a rilievo (ceramica aretina) divenne famosa e fu esportata e poi imitata per tutto il territorio dell’Impero. Essa era famosa tanto quanto lo sono ora le sue industrie orafe che, insieme ad attività imprenditoriali di vario tipo, fanno di Arezzo una delle città più ricche d’Italia. Del periodo classico il Museo archeologico offre ricca testimonianza : il suo pezzo più famoso è forse il cratere di Euphronios del 500 a.C.

Ricca e intensa è stata la vita del Comune nel Medioevo . Ricordiamo solo un episodio : lo scontro con Firenze a Campaldino nel 1289 che ci richiama versi famosi di Dante Alighieri. Delle tracce dell’esule poeta fiorentino è del resto piena la vicina e bellissima vallata casentinese, una delle quattro del territorio aretino insieme a Valdarno, Valdichiana e Valtiberina. Nel 1384 Arezzo fu praticamente " venduta " a Firenze e da allora in poi la sua storia fu quella della Repubblica fiorentina prima, della Signoria e del Granducato di Toscana poi. I Medici hanno naturalmente lasciato la loro impronta nella fortezza cinquecentesca a Nord della città. Nel centro storico, chi cammina lungo il Corso o le strette strade medievali che salgono verso la parte più alta dove si trova la cattedrale gotica dedicata a S.Donato, ha spesso l’impressione di trovarsi dentro uno degli affreschi di Piero della Francesca della Leggenda della vera Croce, in S.Francesco. Nello sfondo del ritrovamento delle tre Croci, la Gerusalemme ha i tratti reali dell’Arezzo quattrocentesca. Del periodo romanico il capolacvoro è la Pieve di Santa Maria dei sec. XII e XIII, di grande suggestione, che contiene tra le altre opere d’arte un polittico di Pietro Lorenzetti. Nella Chiesa di San Domenico poi si trova un altro pezzo eccezionale, un Crocifisso di Cimabue.

In questa città ebbe i natali Francesco Petrarca e, qualche secolo dopo, Giorgio Vasari, celebre per le sue Vite, ancora oggi testo indispensabile per la biografia degli artisti fino al Cinquecento.

Ad Arezzo si corre ancora ogni anno la Giostra del Saracino, manifestazione folkloristica in costume. Con la lancia in resta abili giostratori a cavallo attaccano la sagoma lignea del " Buratto " che a sua volta può colpire cavallo e cavaliere con un’arma che tiene nella mano destra se questo, una volta colpito, non si allontana velocemente.

Arezzo: La nascita del libero Comune 

È la rinascita successiva al Mille ad innescare un nuovo fermento economico, demografico ed edilizio. Cardine ed emblema della ripresa è la nascita del libero Comune, che estende rapidamente il suo dominio nel contado, erodendo gli ampi poteri signorili delle autorità ecclesiastiche. La presenza di un console è attestata ad Arezzo fin dal 1098. 

Attorno al 1200 lo sviluppo urbano induce alla costruzione di una nuova cerchia di mura, che sul lato NE si riconnette a quella etrusco-romana, mentre sui versanti S ed 0 abbraccia a semicerchio la base della collina con un tracciato ancora visibile nel percorso di via Garibaldi (15 Kb). I1 perimetro della cinta raggiunge i 2.600 m. e racchiude un'area di ca. 51 ettari; la radiale principale diviene il borgo maestro. Nel corso del Duecento sorgono nella parte più alta della collina numerosi edifici pubblici e casetorre (36 Kb); viene portata a termine la costruzione della prima grande basilica della città comunale, la Pieve di S. Maria, splendido esempio di architettura romanica (14 Kb). Alla fine del secolo, sotto l'influsso del nuovo stile gotico che va affermandosi, inizia la costruzione della Cattedrale, evento che segue il forzato ritorno della sede vescovile all'interno delle mura (1203), e delle chiese di due importanti ordini monastici predicatori: S. Francesco e S. Domenico. 

La vita cittadina è regolata dal Comune, retto in prevalenza dalla parte ghibellina, che estende il proprio dominio su un vasto territorio (da Borgo S. Sepolcro alla Massa Trabaria, dal medio Valdarno alla Valdambra, dal Casentino alla Valdichiana) rendendosi protagonista della sanguinosa presa di Cortona (1258) (11 Kb) e scontrandosi con alterna fortuna con i grandi Comuni vicini (Siena, Firenze, Perugia, Città di Castello). 

La disfatta subita dai ghibellini a Campaldino (1289), dove muore lo stesso vescovo di Arezzo Guglielmino Ubertini, mette Firenze e Siena in possesso di larghe porzioni di territorio aretino. 

Il risveglio culturale annovera l'apertura dello Studium - i cui ordinamenti del 1255 regolano una delle più antiche Università medioevali - il fiorire delle Arti liberali e l'attività di rimatori (Guittone, 1235 ca. - 1294) ed artisti locali (Margarito d'Arezzo, 1236 ca. - 1293 ca.), seguiti da maestri fiorentini (Cimabue, Crocifisso in S. Domenico) e senesi (Pietro Lorenzetti, polittico della Pieve). Nel 1304 Arezzo dà i natali a Francesco Petrarca, figlio di un fuoriuscito fiorentino. 

 

Arezzo: La Signoria dei Tarlati 

L'ascesa di Guido Tarlati (nel 1312 vescovo, nel 1321 signore a vita), della potente casa ghibellina dei Pietramala (il suo stemma è conservato presso lo Stemmario dell'Archivio di Stato (28 Kb), mentre il suo cenotafio è situato nella Cattedrale (25 Kb), risolleva la città dalla sconfitta di Campaldino ed avvia nei primi decenni del Trecento un nuovo, intenso periodo di sviluppo.

Sull'onda delle riconquiste e degli ingrandimenti territoriali si procede ad un ulteriore ampliamento della cinta muraria verso la pianura di sud; a lavori ultimati, le mura civiche racchiudono una superficie di 107 ettari.

A Guido Tarlati succede nella signoria il fratello Pier Saccone (1327), con il quale inizia un rapido processo di decadenza; nel 1337 la città viene ceduta una prima volta a Firenze, che porta al potere la parte guelfa.

Recuperata l'indipendenza e falliti diversi tentativi di instaurare un governo signorile, si giunge tra il 1376 ed il 1384 ad una prolungata crisi politica, durante la quale la città è ripetutamente messa a sacco. Nello stesso 1384, nuovamente ceduta a Firenze dal condottiero Enguerrand de Coucy per 40 mila fiorini d'oro e definitivamente legata alle sorti della dominante, Arezzo perde, assieme all'indipendenza, gran parte della sua autonomia culturale ed artistica.

Spinello Aretino (1346 ca. 1410) è l'ultimo artista locale a lavorare in città nella seconda metà del Trecento ; nel corso del secolo successivo l'ambiente culturale aretino è dominato da personalità di formazione fiorentina, che lasciano una precisa impronta anche nell'architettura cittadina, in fase di passaggio dallo stile gotico a quello rinascimentale.

Nel Quattrocento operano ad Arezzo Bernardo Rossellino (Palazzo di Fraternita), Benedetto da Maiano (portico di S. Maria delle Grazie ), Giuliano da Maiano (chiostro di Badia), Parri di Spinello, Bartolomeo della Gatta (progetto della chiesa della Ss. Annunziata).

Ma l'avvenimento di maggior portata è l'affidamento a Piero della Francesca degli affreschi del coro della chiesa di S. Francesco ; dall'incarico, conferito nel 1453, nasce il celebre ciclo della Leggenda della Vera Croce , destinato ad entrare nel novero dei capolavori dell'arte italiana ed universale. Escono tuttavia da Arezzo uomini come l'umanista Leonardo Bruni (35 Kb) (1374 ca. -1444), autore della Historia Florentina, i letterati Benedetto (13 Kb) (1415 -1466), Francesco (1416 - 1488) e Bernardo (1458 1535) Accolti, il corrosivo scrittore Pietro Aretino (1492 - 1556).

 

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by webmaster@piramedia.it

Firenze, città artistica per eccellenza, a Firenze nacquero personaggi insigni come Dante, Boccaccio, Machiavelli e Galileo Galilei. Firenze è inoltre stata abbellita dalle opere di Michelangelo, Brunelleschi, Botticelli, Donatello e Giotto.

Chiunque visiti Firenze non rimane mai deluso! Questo grazie ad un eredità culturale ed artistica quasi unica in Europa e nel mondo, che ha le sue base nel medioevo ed il suo massimo splendore nel rinascimento. Firenze, insieme a Roma, sono la storia della nostra civiltà. A Firenze, nel XV secolo, vennero postte le basi per far rifiorire arte e cultura. Qui, grazie a scrittori come Dante, Petrarca e Machiavelli, nacque la cultura e la lingua italiana. Artisti come Botticelli, Michelangelo e Donatello, ne fecero una della capitali artistiche del mondo.

 

UN PO' DI STORIA

 

Firenze fu fondata dai Romani nel 59 a.C., che la battezzarono Florentia.Si nota il "cardo maximus" nella attuale via Strozzi, via degli Speziali e via del Corso; e il "decumanus" nella via Calimala, via Roma, via Por Santa Maria. Nell'attuale Piazza della Repubblica si trovava il Foro. Durante il periodo imperiale la città vide aumentare la sua ricchezza, divenne un centro commerciale dove operavano artigiani nelle botteghe, che poi renderanno famosa Firenze. Durante le invasioni barbariche la città subì molti assedi dagli Ostrogoti, dai Bizantini e dai Goti di Totila. Dall'invasione dei Longobardi alla prima notizia di un Duca nella città, gli abitanti si raccolsero attorno ai Vescovi, infatti in quel periodo si costruiscono monasteri, che diventarono centri di cultura e di lavoro. Fu conquistata poi dai Longobardi nel VI secolo, e solo successivamente la città emerse dalle nebbie del medioevo come città-stato indipendente.Quando i Longobardi furono sconfitti dai Franchi, il Duca venne sostituito dal Conte. Ai Conti successero i Marchesi, va ricordata l'ammirazione del popolo fiorentino per la Contessa Matilde che nel 1085 si armò contro Arrigo IV, e assicurò alla città mezzo secolo di saggia politica. Raggiunse i più alti apici di splendore tra l'XI e il XV secolo, diventando uno dei maggiori centri di potere in Italia, in equilibrio tra l'autorità degli Imperatori e quella dei Papi, superando il disagio delle lotte interne tra Guelfi e Ghibellini. Nel XV secolo Firenze passò sotto la Signoria dei Medici, ricchissima dinastia di banchieri che in seguito divennero Granduchi di Toscana. Firenze e tutta la Toscana rimasero sotto il dominio dei Medici per tre secoli. Fu proprio questo il periodo di massimo splendore della città,dal punto di vista artistico, culturale, politico ed economico. La città crebbe in modo spaventoso. Pittori, scultori e architetti riempirono strade, chiese e palazzi con le più grandi opere del rinascimento. Al Granducato dei Medici successe, nel XVIII secolo, quello dei Lorena, fino al 1860, anno in cui la Toscana entrò a far parte del Regno d'Italia, di cui Firenze fu capitale dal 1865 al 1871. 

FIRENZE, 1000-1300

 

La città di Firenze nei secoli XI e XII si espande e raggiunse a sud, la riva destra dell'Arno. Oltre il fiume sorsero i primi borghi, e quindi nel 1172 venne costruita una seconda cinta muraria. All'interno della prima cinta muraria, il tessuto urbano era molto fitto, costituito soprattutto da case- torri difensive, invece tra la prima e la seconda cinta l'edilizia era molto più rada e regolare, formata da case a schiera. Fra il XII e il XIII secolo la città aumenta la sua forza commerciale, il nucleo di questa forza è formato dagli artigiani, dai fabbri, dai calzolai, dagli orefici, con particolare sviluppo nella lavorazione della lana. Alla fine del 1100 la città aveva raggiunto la sua autonomia comunale. Nel Duecento il Governo era costituito dai Consoli, con l'aiuto dei Consigli cittadini. Coloro che detenevano il potere erano scelti nei ceti elevati di conseguenza nacque rivalità fra le famiglie più ricche. Le famiglie erano riunite in alleanze, questa condizione va sotto il nome di società delle torri, le case crescevano in altezza, all'occorrenza diventavano fortezza e tramite ponti mobili, le famiglie alleate, formavano un sistema di torri difendibili facilmente. La condizione della società cittadina imponeva un'architettura fatta di case allungate verticalmente, con aperture strette, buche e mensole per le travature dei ponti mobili. Le discordie fra le maggiori famiglie diventarono sempre più gravi fino alla formazione di due partiti, i Guelfi che fedeli al Papa osteggiavano l'Imperatore, e i Ghibellini, che fedeli all'Imperatore osteggiavano il Papa. Da principio i Ghibellini ebbero il sopravvento, ma il loro successo fu breve e nel 1250 i Guelfi tornarono al potere. Il Comune ebbe un ordinamento costituito dalla Signoria e la città ebbe un periodo di grande prosperità. Sono di questo periodo i trattati di alleanze con Lucca, Siena, Arezzo e gli acquisti di Volterra,San Gimignano, Poggibonsi. Tutto questo benessere fece riaccendere le lotte fra Guelfi e Ghibellini, e dopo un breve periodo di dominio Ghibellino, i Guelfi ripresero il potere e affermarono definitivamente il loro dominio sulla città. Grande importanza ebbero le Corporazioni divise in Maggiori e Minori, tra le Arti maggiori c'erano l'Arte della Lana, quella di Calimala, quella dei Giudici e dei Notai, Medici e Speziali, che portarono nella città ricchezza e benessere. Alla fine del XIII secolo, viene definito il centro politico e religioso della città, con la costruzione della Cattedrale di Santa Maria del Fiore e del Palazzo Vecchio. Il trionfo del popolo, portò anche al trionfo della sua lingua il "volgare", che si affermava come lingua scritta e parlata, perchè fra tutti i dialetti era il più armonioso. Con la ricchezza venne il desiderio di rendere la città più bella, emergono le prime personalità fiorentine come Cimabue, Gaddo Gaddi per la pittura, Arnolfo di Cambio per la scultura, e si annunciava il genio di Dante e di Giotto. C'è un fiorire di chiese: S. Michele Visdomini, SS. Apostoli, San Nicolò, Santa Margherita Sopr'Arno, che vanno ad aggiungersi al Battistero e alla chiesa di Santa Reparata. 

Firenze, 1300-1400

 

Nella prima metà del Trecento vi sono eventi molto importanti per la vita sociale ed economica fiorentina. Sotto la spinta della fase di crescita, erano numerosi gli impianti di nuovi centri abitati, infatti le Terre Murate fiorentine, erano destinate a sostenere le scelte territoriali delle formazioni politiche, che assumevano la dirigenza. Agli inizi del secolo il tessuto urbano della città e le linee di sviluppo messe a punto nel secolo precedente non subiscono modificazioni di fondo. L' ultima cerchia muraria iniziata nel 1248, venne completata nel 1333, la cerchia includeva i borghi e i nuovi insediamenti produttivi, religiosi, che si erano formati all'esterno di alcune porte delle mura preesistenti, in corrispondenza dei principali assi di viabilità. Alcuni dei nuovi poli erano nati per l'azione svolta da vari ordini mendicanti ( Carmelitani, Francescani ). Questi erano ordini da tempo insediati in prossimità della precedente cerchia, lungo i percorsi principali: via Romana, le vie verso il Valdarno, la via verso la zona Pratese - Pistoiese, la via verso il Mugello e i valichi verso Bologna. Oltre a questi insediamenti lungo la cerchia si avevano insediamenti di carattere patrizio, che avevano creato delle importanti trasformazioni nel tessuto urbanistico. Quindi si nota un affermarsi di nuove tipologie edilizie. Il fenomeno era dovuto in modo particolare alle famiglie più ricche, che avevano interessi molto forti nel contado. Altre modifiche avvengono nell'area dentro la cerchia antica del 1078, in particolare nella zona attorno al mercato. Questi interventi presuppongono un riadattamento della città alle nuove esigenze funzionali e soprattutto dell'immagine. Questo secolo è caratterizzato da linee diverse di trasformazione del tessuto cittadino. Le grandi famiglie erano protagoniste dell'accorpamento delle proprietà edilizie, e delle trasformazioni tipologiche. A questi ceti si deve la creazione di ospedali, patronati religiosi. Le norme venivano emanate dalla Magistratura e dagli organi del Comune, e curavano la linea riferita alle iniziative di carattere pubblico, quindi i luoghi destinati alla rappresentanza pubblica e alle infrastrutture cittadine. Un'altra linea di trasformazione era quella delle iniziative di nuova edificazione, i promotori erano in genere organi religiosi o altre corporazioni, come le Arti. Il tipo edilizio era quello delle case disposte l'una accanto all'altra, situate su lotti con fronte strada molto ridotto. La Firenze di questo secolo era molto rinnovata rispetto al secolo XIII, ma il modello di funzionamento era sempre lo stesso. Il tessuto urbano era configurato secondo una concezione gerarchica sia nelle sue parti, che nelle sue funzioni, e rifletteva poi la struttura gerarchica delle istituzioni dell'epoca. Dopo che venne completata l'ultima cerchia muraria, il territorio venne organizzato in quattro quartieri, ogni quartiere era diviso in quattro gonfaloni. Nella zona più antica, quella intorno al Mercato Vecchio, c'erano le residenze e le botteghe di molte antiche famiglie, oltre alle sedi politiche principali. In modo particolare erano insediate le sedi delle Arti principali. Questa si presentava quindi come una zona molto satura, caratterizzata da un tessuto viario minuto, e da un'edilizia molto addensata. Agli spazi angusti della parte più antica della città, si contrapponevano le piazze attorno alla Cattedrale e al Battistero. Un tessuto più contrastato si trovava tra la fascia occupata dalla penultima cerchia e il circuito dell'ultima cerchia. In questa zona alla trama molto densa delle case e delle botteghe di piccole dimensioni, si trovavano i grandi edifici conventuali o religiosi degli ordini mendicanti francescani e domenicani. Le torri erano frequenti in questa parte della città, alcune delle quali vennero incorporate in altri edifici. In corrispondenza di piccoli slarghi si trovavano le Logge che accoglievano riunioni, incontri diventando il tramite nei rapporti della vita fiorentina. Nel centro della città si trovavano molti cantieri aperti, tesi a realizzare opere di prestigio; infatti proseguono i lavori della Cattedrale (Santa Maria del Fiore), in cui lavora sia Giotto che il Talenti; il Campanile del Duomo. Prossimi al Duomo sorsero, la chiesa di Orsanmichele, la Loggia del Bigallo, si lavora alla Loggia del Mercato, alla Loggia dei Lanzi; viene rifatta la chiesa domenicana di Santa Maria Novella, e quella francescana di Santa Croce, il Palazzo del Podestà (il Bargello), si sistema Piazza Signoria. Si lavorava anche al Ponte alla Carraia e a Ponte Vecchio (ricostruito nel 1345). Una caratteristica importante era quella della presenza di botteghe sui ponti (oggi sono rimaste solo su Ponte Vecchio). I lavori di rinnovamento architettonico della città, furono affidati ad Arnolfo di Cambio, per merito suo lo stile Gotico, diffuso in Europa dall'Ordine Cluniacense, acquista un carattere equilibrato, mediando con le forme romaniche riesce ad ottenere negli edifici sia civili che religiosi, un esempio di gotico solenne, con degli slanci contenuti e armoniosi. La città si andava suddividendo in due parti distinte: una più centrale situata a nord del fiume, l'altra più esterna situata attorno alla prima. Il corso dell'Arno funzionava da asse portante per tutta la città, infatti c'erano gli scavi fluviali, i molini, le gualchiere, inoltre era una fonte importante per prelevare la ghiaia e la rena per le costruzioni. La chiara articolazione tra le parti della città non si ritrova nella distribuzione delle classi urbane nel tessuto cittadino. I ceti alti non disdegnavano il contatto con i ceti subordinati, il tessuto sociale era misto, accanto al palazzo del nobile si affiancavano le botteghe, i laboratori degli artigiani. Alla fine del secolo ci sono collegamenti sempre più stretti tra i cittadini di Firenze e la campagna. Il paesaggio viene proprio modificato dall'interesse dei cittadini di investire in residenze fuori città e il paesaggio assume l'aspetto costruito e disegnato che ha tanto colpito l'immaginazione dei visitatori. 

FIRENZE, 1400

 

Il Quattrocento è per la città di Firenze, un momento di grande ripresa, sia economica che culturale. La gloria di aver dato vita a questi nuovi impulsi, che poi esprimeranno quel concetto di rinascita, di rinnovamento dell'arte, che darà vita al Rinascimento, va tutta alla città, che diventa il fulcro di questo movimento culturale. Il Rinascimento fin dalla sua prima fase di formazione, intorno agli inizi del Quattrocento, sviluppa delle tematiche nuove, accostandosi alle antiche con spirito d'innovazione. Il movimento appare strettamente connesso con la nuova borghesia mercantile fiorentina, e proprio la nuova classe, costituita dalle famiglie dei Pitti, dei Rucellai, dei Medici, degli Strozzi, diventano promotrici della nuova cultura e del nuovo gusto architettonico. La famiglia dei Medici, prima con Cosimo il Vecchio, poi con Lorenzo il Magnifico, collabora con artisti, filosofi, che studiando con fervore il reale mettono a punto una concezione dell' uomo che esprima i desideri della nuova Signoria. Nell'ambito della cultura fiorentina del Rinascimento, Cosimo il Vecchio, che era a capo di questo grande movimento di rinnovamento, proteggendo gli artisti, incoraggia le iniziative edilizie e artistiche utili alla città. Nelle sue dimore si riuniva l'Accademia Platonica, Cosimo e dopo di lui Giuliano e Lorenzo, erano parte attiva dei dibattiti, discutendo del buon governo e dell'arte. Grande fervore si ebbe in campo letterario, con Poggio Bracciolini, Coluccio Salutati; in campo filosofico, con Marsilio Ficino che rinnova l'Accademia Platonica a Careggi; nell'architettura troviamo, Filippo Brunelleschi, seguito da Michelozzo Michelozzi, Leon Battista Alberti, Bernardo Rossellino, Giuliano da Maiano, Giuliano da San Gallo. Stimolo di questo di questo lavoro è lo studio dell' arte, della cultura e della filosofia greca e romana, studiata scientificamente. L'artista userà le tecniche tradizionali, con una nuova coscienza, cercando di approfondire l'indagine nei confronti del reale e della natura, quindi l'artista rinascimentale, seguendo questa via, lavora unendo la conoscenza scientifica all'arte, che diventa matrice comune, da cui l'artista non può prescindere. Natura e arte, diventano due fattori importanti; la conoscenza del reale presuppone lo studio e la conoscenza di nuovi mezzi, che l'artista troverà nella prospettiva, prospettiva, che diventa strumento di conoscenza per misurare e riprodurre la realtà. Questi nuovi studi daranno splendidi risultati sia nel campo della pittura che della scultura, e saranno alla base delle più grandi opere della pittura, dell'architettura e della scultura. Nel campo dell'architettura i nuovi studi trovano risposta nell'opera di Brunelleschi, con Donatello e Masaccio, figura fondamentale del rinascimento fiorentino. Il suo capolavoro è la Cupola di S. Maria del Fiore, che riassume in modo completo la sua attività. Oltre alla Cupola, lavora all'Ospedale degli Innocent, alla Sacrestia Vecchia di San Lorenzo, intorno al 1423, alla Chiesa di San Lorenzo, alla Chiesa di S. Spirito nel 1436. Tra il 1429 e il 1443, diresse i lavori della Cappella dei Pazzi, il Brunelleschi fu il creatore del tipo classico del palazzo rinascimentale fiorentino, un esempio è Palazzo Pitti. La nuova società mercantile, si rivelava nella elegante e solida architettura del palazzo signorile. Si hanno iniziative dei gruppi al potere di fissare in aree non centrali le residenze, anche, per la maggiore facilità di reperimento delle aree, nelle zone più esterne del tessuto cittadino. Si hanno quindi importanti conseguenze urbanistiche, proiettate verso il desiderio di affermazione del gruppo dirigente, ed ha inizio la fase che interessa le nuove tipologie dei palazzi rinascimentali. I palazzi che vengono costruiti tendono a definire un tipo di edificio regolare, con pianta quadrata, cortile interno a colonne. Palazzo Medici, Palazzo Pitti, Palazzo Strozzi, Palazzo Rucellai, sono i nuovi edifici che riflettono, l'affermazione della ricchezza e della potenza delle principali famiglie fiorentine.

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